LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/IV – 28 ottobre 2012)

LA STORIA, ACCORATO APPELLO DI UN’INGLESE – Rendez vous nel cimitero; martedì prossimo, a 68 anni, Doreen Richardson visiterà per la prima volta il comune del genitore per conoscere i congiunti italiani

Una “figlia della guerra” alla ricerca dei fratelli

“Vengo nel Salento per abbracciarli e pregare sulla tomba di papà”
IL RICHIAMO DEL SANGUE - Nata nel 1944 nella contea di Suffolk da un prigioniero salentino e da una contadina, la donna vuole dare un volto ai suoi cari
“Voglio pregare sulla tomba di mio padre e abbracciare i miei fratelli. Non chiedo altro. E il prossimo 30 ottobre sarò nel Salento per cercare di realizzare questo desiderio”. Doreen Richardson, una signora inglese di Stoke By Nyland, un piccolo paese a nord di Londra, vicino Polstead, nella contea di Suffolk, ha deciso che è arrivato il momento di compiere un gesto a lungo sognato, ma poi continuamente rinviato per “rispetto” di coloro che non volevano che la sua storia venisse divulgata.
Nelle sue vene scorre sangue italiano, ed è irresistibile per lei l’esigenza di visitare i luoghi in cui è vissuto suo padre e di conoscere, finalmente, quelle che legittimamente considera anche sue radici.
Nata nel 1944, in piena seconda guerra mondiale, Doreen è il frutto di una tenera storia d’amore fra sua madre, Kathleen Collier, e un affascinante salentino, originario dell’area nord della provincia di Lecce, a quell’epoca prigioniero di guerra nell’Inghilterra orientale. Un amore intenso, fugace e folgorante, con risvolti e sviluppi d’altri tempi perché ostacolato, fin dall’inizio, da un contesto intriso di antichi pudori anglosassoni, e poi successivamente, fino ai giorni nostri, anche da residui di incrostazioni di una certa cultura, retrograda e piena di immotivati pregiudizi, tipica del Sud d’Italia.
Doreen ha visto suo padre Antonio (nome di fantasia) soltanto una volta nella sua vita. Lo ha conosciuto in Inghilterra nel 1960, subito dopo aver appreso dalla madre, quasi per caso, la verità che la riguardava.
Tenuta nascosta per anni, la storia d’amore fra Kathleen e Antonio, era stata fatta cadere nell’oblio per non rievocare l’eco di un amore proibito. Soprattutto era stata tenuta nascosta la verità su Doreen, figlia di una giovane inglese e di un prigioniero di guerra italiano. A quei tempi uno scandalo perfino in un piccolo villaggio dell’evoluta Gran Betragna.
Fu Doreen che decise d’incontrare suo padre. In quel periodo lei aveva sedici anni, Antonio quarantadue. Da quel momento, dopo quell’unico incontro avvenuto in Inghilterra, padre e figlia, pur rispettando l’esigenza di non turbare l’armonia dei rispettivi contesti familiari, non smisero mai di scriversi. Nelle sue lettere Antonio cercava di starle vicino, almeno idealmente, e di non farle mancare la certezza del suo affetto paterno. Doreen aveva appreso da Antonio tutto ciò che c’era da sapere sulla vita dell’uomo. Soprattutto era venuta a conoscenza di avere, in Italia, una sorella e un fratello, nati dal matrimonio di suo padre con una donna salentina.
Nel 2005 Antonio venne a mancare. E dopo cinque anni, nel 2010, morì anche la madre Kathleen. A quel punto Doreen decise di fare, appena possibile, ciò che avrebbe voluto realizzare da sempre: venire in Italia per allacciare, finalmente, un legame con una terra che considera anche sua. Prima del viaggio in Puglia programmato per la fine di questo mese - ospite a Ostuni della famiglia del professore universitario di biochimica John Gorrod, suo conterraneo, che ha collaborato per anni con l’èquipe di Ferdinando Palmieri, dell’ateneo barese – ha cercato di mettersi in contatto con i fratelli, entrambi residenti in un paese del nord della provincia di Lecce. Ma dal Salento, dopo la morte del padre, mai più nessuno ha risposto alle sue lettere. Da qui la decisione di chiedere a “La Gazzetta del Mezzogiorno” di ospitare un appello, rivolto ai suoi fratelli, per incontrarsi vicino alla tomba di Antonio.
“Mia madre era londinese – racconta Doreen – e si trasferì, assieme a mia nonna, nella campagna di Stoke By Nyland durante la guerra. Lei lavorava nella stessa fattoria dove si trovava mio padre il quale, insieme ad altri tre prigionieri di guerra italiani, accudiva il bestiame. Qui nacque la storia d’amore fra i miei genitori. Mia madre s’innamorò profondamente del giovane italiano dai modi gentili, sempre dolce, sensibile e premuroso. Ad un certo punto, quando il rapporto fra i due diventò di dominio pubblico, mio padre fu trasferito nel nord dell’Inghilterra, presso un’altra fattoria. Lui sapeva che mia madre, al momento del suo allontanamento, era incinta, ma non ebbe mai notizia della mia nascita. Da quel momento, anche a causa delle difficoltà di comunicazione, persero qualsiasi contatto. Quando mio padre fu rimpatriato in Italia, un anno o due dopo la fine della guerra, cominciò a scrivere a mia madre. Nessuna delle sue lettere, però, giunse mai a destinazione. Mia nonna, infatti, preoccupata di perdere la sua unica figlia in caso avesse deciso di seguire l’italiano, d’accordo con il postino locale, intercettò e requisì tutte le lettere”.
“Dopo qualche anno mia madre, senza più notizie di mio padre, decise di sposarsi con uno del posto. Lo stesso fece mio padre in Italia, quando si convinse che era stato dimenticato. Mia madre apprese dell’esistenza delle lettere diversi anni dopo, quando ormai era troppo tardi. Io sono cresciuta nella mia famiglia inglese senza aver mai saputo di essere figlia di un italiano. L’ho scoperto solo nel 1960, quando mia madre decise di dirmi la verità, incalzata dalle mie domande”.
“Fui io, successivamente, a mettermi in contatto con mio padre e, con l’aiuto del mio fidanzato, riuscii ad incontrarlo. In seguito ci siamo scambiate tante lettere. Lui era sempre affettuoso. E’ stato una persona fondamentale per la mia vita. Ecco perché voglio venire in Italia ed incontrare i miei fratelli. Vorrei semplicemente abbracciarli e dire loro che sono comunque importanti per me. Il 30 ottobre, alle 10, accompagnata da mia figlia Karen, mi recherò nel cimitero dove riposa mio padre. Se loro vogliono – conclude - possiamo incontrarci”.
L’auspicio è che l’invito abbia esito positivo e che Doreen venga accolta dai suoi fratelli con il rispetto e l’affetto che merita una persona privata, per tutta la vita, di un padre che ha amato e idealizzato.
Questa lunga vicenda, a distanza di tantissimi anni, ormai non dovrebbe suscitare vergogna o, peggio, indignazione alcuna: il mondo è cambiato anche nel Salento. Forse, dopo non poche tribolazioni e incomprensioni, è giunta l’ora di dare alla storia di Kathleen e Antonio, simile a tante altre del periodo bellico, un epilogo finalmente sereno.
Rosario Faggiano


N.B.: Il servizio sulla storia di Doreen, pubblicato nella cronaca di Lecce in “Primo piano”, comprende anche gli articoli "Un grande amore interrotto per paura dello scandalo" e "Quei 155mila prigionieri del Bel Paese dai modi gentili e abili con la zappa".