IL CORRIERE VINICOLO (pag. 15 – 13 ottobre 2014)

VINO ROSATO - Le potenzialità di mercato sono ritenute enormi e negli ultimi anni si è registrato un significativo incremento dei consumi in Italia e all’estero. La produzione però rimane limitata. Responsabili del mancato (per ora) exploit una ancora scarsa conoscenza da parte dei consumatori dell’effettiva alta qualità raggiunta dai prodotti

Un must salentino su cui investire di più

Un must salentino su cui investire di più


“Salento, culla del rosato”. Questo il “biglietto da visita” che gli operatori vitivinicoli delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, offrono per presentare la produzione della subregione pugliese. È qui, infatti, che nel 1943 è stato imbottigliato il primo vino rosato d’Italia, il mitico “Five Roses” della Leone de Castris di Salice Salentino, nato sulla base di precedenti esperienze produttive aziendali iniziate fin dagli anni venti. Un’etichetta “apripista” per le altre cantine salentine le quali, nel corso degli anni, si sono dotate tutte di almeno un rosato di Negroamaro, Doc o Igt.

Oggi, pur rimanendo il Negroamaro l’uva principe dalla quale si ricava il rosato tipico salentino, qualche azienda ha aggiunto nella propria gamma pure ottimo rosato ottenuto da Primitivo e da Aleatico.

Anche se le potenzialità di mercato di questo prodotto vengono ritenute enormi e nonostante negli ultimi anni venga registrato un significativo incremento costante dei consumi in Italia e all’estero, il rosato salentino tuttora registra una produzione limitata, appena il 10 per cento rispetto alla produzione complessiva di vino; secondo stime degli operatori, in ogni caso corrispondente a circa il 40 per cento dell’intera produzione nazionale.

Responsabili del mancato exploit, la poca conoscenza delle eccellenti peculiarità del prodotto, ma anche il persistente scetticismo di alcune tipologie di consumatori che continuano a credere che il rosato sia una semplice miscela di rossi e di bianchi. Invece non è stato mai così. Il rosato del Salento si è sempre fatto per “alzata di cappello” (cosiddetto “salasso”), pratica che all’inizio consisteva nel togliere una parte del mosto, quello della prima spremitura, per irrobustire i vini rossi. Oggi la tecnica rimane sostanzialmente la stessa, ma avviene con macerazione a freddo.Un’evoluzione del procedimento originario che consente di ottenere massima qualità, con conservazione degli aromi dell’uva e una maggiore freschezza rispetto al passato. Il tutto per soddisfare le attuali tendenze dei consumatori, soprattutto dei più giovani che diventano sempre più numerosi.
Ma ecco il quadro offerto da alcuni operatori dell’area.

Rosato, elemento di differenziazione

La Leone de Castris, con le sue 500mila bottiglie vendute in Italia e all’estero (soprattutto nei paesi francofoni), pari al 20 per cento della produzione vinicola aziendale, è fra le maggiori aziende imbottigliatrici di rosato dell’area.

“Il Salento – spiega Piernicola Leone de Castris – è una zona tipica per questo genere di prodotto. Molti esperti, anche internazionali, considerano il rosato salentino fra i migliori. Secondo me il rosato è una tipologia sulla quale il territorio deve investire ancora di più perché è un elemento di differenziazione. Sarebbe molto utile, peraltro, creare un’organizzazione per la tutela e la promozione del rosato salentino. Le prospettive sono buone, di crescita ulteriore, e i produttori dovrebbero impegnarsi per farlo conoscere meglio”.

“Il rosato – aggiunge l’enologo Angelo Maci, presidente delle “Cantine Due Palme” di Cellino San Marco - ha rappresentato e rappresenterà sicuramente uno dei must dell’enologia salentina. Il mercato del rosato, pur rappresentando ancora una fetta irrisoria del mondo del vino, sta però registrando un trend sempre più positivo. Le vendite sono in fortissima crescita per la nostra azienda che si manifesta uniforme sia per il rosato fermo che per le bollicine”.

Questo prodotto, che è tradizionalmente molto apprezzato dai salentini, in tutti i punti vendite delle cantine cooperative viene venduto anche sfuso, per così dire “al minuto”.

“Destiniamo al rosato – dice Francesco Trono, presidente della cantina “Cupertinum” - circa il 20 per cento del nostro Negroamaro. Di questo, soltanto il 3 per cento viene destinato all’imbottigliamento. Il resto lo vendiamo sfuso ai residenti dell’area. Grazie alla vicinanza delle località turistiche della costa ionica, peraltro, durante l’estate centinaia di turisti scoprono e acquistano il nostro rosato. È un prodotto che, se conosciuto, piace molto e va a ruba”.

Le peculiarità del prodotto salentino

“Il nostro rosato ha avuto un mutamento – spiega l’enologo Leonardo Pinto – abbandonando i 14-14,5 gradi alcolici del passato che davano al prodotto caratteristiche molto più vicine al rosso. Negli ultimi anni il rosato di Negroamaro è divenuto un vino fresco, fruttato, con profumi primari dell’uva. Con la fermentazione controllata, questi profumi non vengono più evaporati. Attualmente il rosato è diventato un vino beverino, morbido, con una gradazione massima di 12,5-13 gradi e con caratteristiche di digeribilità”.

“Il vino rosato salentino – sottolinea Paolo Leo, titolare dell’omonima azienda di San Donaci - ha avuto un’evoluzione in funzione delle esigenze dei consumatori, sempre più interessati a vini corretti, freschi e di pronta beva. Questo chiaramente sta portando ad una destagionalizzazione del suo consumo. In pratica sta diventando sempre più il vino del consumo quotidiano. Il rosato ha solo bisogno di essere sdoganato dai media nazionali che ne parlano ancora poco”.

“Per quanto riguarda il colore - spiega Ennio Cagnazzo, enologo della cooperativa “Vecchia Torre” di Leverano - si passa da un rosa tenue al cerasuolo. Si cura, però, molto la brillantezza, evitando assolutamente la tonalità aranciata che era una delle caratteristiche del passato. I consumatori richiedono con maggiore interesse prodotti lavorati in modo da conservare gli aromi dell’uva e con gradazioni alcoliche contenute”.

“Bisogna fare un bel rosato facendo attenzione a quello che sarà il colore – aggiunge Giuseppe Pizzolante Leuzzi, enologo della Cupertinum - Come tecnico è una sfida molto bella. Basta un’ora in più o in meno di contatto con le bucce per far cambiare tutto. Oggi i consumatori, specialmente quelli esteri, richiedono un prodotto morbido che si lascia bere anche fuori pasto. Se il rosato è duro, com’era in passato, la bottiglia non viene consumata”.

L’interesse dei buyer internazionali

Il mercato del rosato salentino è ancora soprattutto quello nazionale, ma non mancano segnali di crescente interesse dal mercato europeo e del Nord America.

“Le vendite di rosati pugliesi – dice Gianvito Rizzo, amministratore delegato della cantina “Feudi di Guagnano” - negli ultimi 24 mesi sono in costante aumento soprattutto in Italia e negli Usa. Molte regioni, e fra queste la Puglia è tra quelle più attive, hanno investito molte risorse nella promozione del vino rosato. I risultati, in termini di interesse e curiosità da parte anche di buyer internazionali, pian piano stanno arrivando pur in presenza di una grossa concorrenza da parte dei nostri maggiori competitors che sono la Spagna e la Francia.

“Il consumo del rosato - afferma Marco Mascellani, enologo della Leone de Castris - sta diventando sempre più consapevole. Finalmente si è superata la fase in cui lo si relegava sul fondo di qualche carta vini perché ritenuto né carne né pesce. Ciò detto, c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare la diffusione della cultura del bere rosato. Ci sono ancora molte zone d’Italia dove la presenza dei rosati in carta non è per nulla scontata, per non parlare di molti paesi anglosassoni dove ci sono dei margini di crescita spaventosi”.

“Il mercato di riferimento per il rosato – spiega Giacomo Di Feo, direttore commerciale di Cantine Due Palme - è per il 78% il mercato italiano ed in particolar quello pugliese. Il mercato estero, però, non è stato a guardare dove la crescita è del 16%. Quest’ultima è sicuramente inferiore al trend del mercato; su questo canale, però, pesa in maniera decisa la stagionalità del prodotto unito alle complicanze logistiche e doganali”.
Rosario Faggiano