LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/V - 28 agosto 2010)
IL CASO – condannata la giustizia-lumaca
Sentenza dopo 27 anni, maxi risarcimento ad un ex militare di leva
Giustizia lumaca: la Corte d’Appello di Lecce stabilisce un risarcimento record di 23mila e cinquecento euro (oltre interessi) a beneficio di un cittadino che nel 1981 si era rivolto alla sezione della Corte dei Conti di Bari per ottenere il riconoscimento della causa di servizio. Il ricorrente M.S., residente in un Comune del basso Salento, ha dovuto aspettare 27 anni per sentire pronunciata una sentenza riguardante la dipendenza da causa di servizio di una febbre reumatica contratta mentre era impiegato, in qualità di militare di leva, nelle operazioni di soccorso in occasione dell'alluvione di Firenze del 1966. La Corte d’Appello, in pratica, sulla base dell’accertata irragionevole durata del procedimento, ha accolto l’apposito ricorso dell’interessato, difeso dall’avvocato Francesco Milanese, calcolando che sarebbero stati sufficienti soltanto tre anni per l’espletamento dell’intero iter giudiziario. La Corte dei Conti, invece, non ha provveduto all’istruzione della causa nei tempi previsti lasciando che la stessa rimanesse giacente senza che fosse esperita alcuna attività, nonostante fossero state depositate nei termini due istanze di sollecito ed una di prosecuzione del giudizio. Il processo per il riconoscimento della causa di servizio si è poi concluso con la lettura del dispositivo all’unica udienza tenutasi in 27 anni, ovvero il 23 ottobre 2007. La relativa sentenza, negativa per M.S., è stata infine pubblicata il 7 maggio 2008. Tutto ciò, indipendentemente dall’esito del giudizio, è avvenuto in violazione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo che sancisce, all’art. 6, il diritto ad un processo equo anche nei tempi di durata.
I magistrati della sezione competente della Corte D'Appello (presidente Rosa Casaburi, estensore Fausta Palazzo), accogliendo nei giorni scorsi il ricorso curato dall’avvocato Milanese, ha accertato che “il procedimento giudiziario ha subito un allungamento della sua durata fisiologica di 23 anni e mezzo” determinando al cittadino “ansia, patemi d'animo, sofferenza morale” indennizzabile a titolo di danno non patrimoniale.
Il risarcimento accordato ammonta, in sintonia con la giurisprudenza della Corte europea, da un minimo di 750 ad un massimo di 1200 euro per anno di ritardo. Nel caso in questione la Corte d’Appello ha disposto, a carico del ministero dell’Economia e delle finanze, la liquidazione di 23mila e cinquecento euro oltre interessi.
“Si tratta - commenta Milanese- di un caso ormai ordinario di mala giustizia. Gravi sono le violazioni registrate in Italia della Convenzione per i diritti dell'uomo. A tale normativa, in parte recepita nel nostro ordinamento costituzionale, è stata data attuazione nel diritto interno con la legge n. 89 del 2001. La cosiddetta legge Pinto, che ha la finalità di tutelare la durata ragionevole dei procedimenti e il diritto all'equa riparazione, tuttavia si è rivelata idonea a dare attuazione al solo aspetto risarcitorio, riversando sulle casse dello Stato gli ingenti costi dei risarcimenti (stimati in 118milioni di euro nel periodo compreso tra l'entrata in vigore della legge e il 2008). Non si è per nulla rivelata efficace a garantire un’equa durata ai giudizi, probabilmente perchè alcuna sanzione prevede, di fatto, per le persone responsabili degli ingiustificati ritardi. E' un paradosso - conclude - che proprio i giudizi presso la Corte dei Conti siano quelli che fanno registrare più lunghi periodi di durata”.
I magistrati della sezione competente della Corte D'Appello (presidente Rosa Casaburi, estensore Fausta Palazzo), accogliendo nei giorni scorsi il ricorso curato dall’avvocato Milanese, ha accertato che “il procedimento giudiziario ha subito un allungamento della sua durata fisiologica di 23 anni e mezzo” determinando al cittadino “ansia, patemi d'animo, sofferenza morale” indennizzabile a titolo di danno non patrimoniale.
Il risarcimento accordato ammonta, in sintonia con la giurisprudenza della Corte europea, da un minimo di 750 ad un massimo di 1200 euro per anno di ritardo. Nel caso in questione la Corte d’Appello ha disposto, a carico del ministero dell’Economia e delle finanze, la liquidazione di 23mila e cinquecento euro oltre interessi.
“Si tratta - commenta Milanese- di un caso ormai ordinario di mala giustizia. Gravi sono le violazioni registrate in Italia della Convenzione per i diritti dell'uomo. A tale normativa, in parte recepita nel nostro ordinamento costituzionale, è stata data attuazione nel diritto interno con la legge n. 89 del 2001. La cosiddetta legge Pinto, che ha la finalità di tutelare la durata ragionevole dei procedimenti e il diritto all'equa riparazione, tuttavia si è rivelata idonea a dare attuazione al solo aspetto risarcitorio, riversando sulle casse dello Stato gli ingenti costi dei risarcimenti (stimati in 118milioni di euro nel periodo compreso tra l'entrata in vigore della legge e il 2008). Non si è per nulla rivelata efficace a garantire un’equa durata ai giudizi, probabilmente perchè alcuna sanzione prevede, di fatto, per le persone responsabili degli ingiustificati ritardi. E' un paradosso - conclude - che proprio i giudizi presso la Corte dei Conti siano quelli che fanno registrare più lunghi periodi di durata”.
Rosario Faggiano