LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/VIII – 28 maggio 2015)

Anche quest’anno l’azienda vitivinicola salentina è al fianco del concorso. Premierà uno studente con borsa di studio ed altre quaranta persone con i suoi prodotti

La ricerca per un marchio di qualità

La ricerca per un marchio di qualità
E la Leone de Castris punta sulla sperimentazione per continuare a primeggiare nel mondo



Sperimentazione, ricerca e tradizione. Sono i punti fermi di un’azienda vinicola che da sempre punta alla qualità.

È solo l’eccellenza produttiva, infatti, che consente di competere su tutti i mercati internazionali, anche e soprattutto nel settore vinicolo dove, sempre più, bisogna fare i conti con altri Paesi (anche cosiddetti “emergenti”) che, come l’Italia, vantano vini di pregio.

Piernicola Leone de Castris, titolare dell’omonima azienda, si sofferma sull’importanza della ricerca per un marchio di qualità. La Leone de Castris, da sempre sostenitrice del concorso “Lo scrivo io”, quest’anno premierà i partecipanti con 25 “kit mare” (contengono un romanzo, un cappellino, una borsa di tela e due bottiglie di vino), mentre altre confezioni di vino sono state preparate per i direttori che dirigeranno l’orchestra degli studenti e per i volontari della Croce Rossa. Inoltre la famiglia Leone de Castris premierà anche uno studente con una borsa di studio.

Ma torniamo all’attività di ricerca dell’azienda salentina che esporta vini in tutto il mondo.

“La ricerca – spiega Piernicola Leone de Castris - è molto importante e non è legata soltanto all’ammodernamento di alcuni vini. Nella nostra azienda la ricerca è stata portata avanti soprattutto per ottenere prodotti nuovi rispetto a quelli tradizionali. Negli ultimi anni abbiamo sviluppato e ampliato la gamma delle nostre etichette, puntando anche su una selezione di tipologie di spumanti ottenuti sia con il metodo charmat che con il metodo classico. Noi siamo stati la prima azienda nel Salento a produrre in casa sia con il metodo charmat che con il metodo classico”.

- Che differenza qualitativa c’è tra lo charmat e il metodo classico?

"Lo charmat consente la spumantizzazione del vino attraverso l’utilizzo di autoclavi, ovvero serbatoi in acciaio a pressione; mentre il metodo classico, che non è tradizionale del territorio perché originario della Francia, attraverso un’operazione abbastanza complessa, affascinante e costosa, consente l’ottenimento di un prodotto fermentato all’interno della bottiglia. Diciamo che con il metodo classico si ottengono spumanti di maggiore qualità". 

- Tradizione e qualità: è un connubio essenziale?

"La tradizione non sempre è qualità. Noi dobbiamo conservare gli elementi più importanti della nostra storia, ma non ad ogni costo. Le cose, infatti, cambiano e, spesso, il cambiamento rappresenta un’evoluzione, un miglioramento delle conoscenze, delle tecniche e dei procedimenti produttivi che garantiscono maggiore qualità pur rispettando la tradizione. Il gusto del vino cambia e ci sono le mode; un’azienda non deve seguire la moda, però deve cercare di trovare una giusta via di mezzo tra un prodotto che identifica un territorio e la tendenza".

- La sua azienda ha aderito al consorzio nazionale “Iwrt” che ha come obiettivo la ricerca e   la sperimentazione. In cosa consiste il progetto?

"Iwrt, acronimo di Italian Wine Reasearch Team, è nato nel 2014 per rendere comuni competenze e conoscenze scientifiche con il fine di ottenere vini di massima qualità. Attualmente fanno parte del Consorzio 22 aziende vinicole di diverse aree geografiche. I risultati e gli obiettivi della ricerca di Iwrt, peraltro, saranno presentati all’Expo di Milano proprio in questi giorni. Inizialmente il percorso di ricerca di Iwrt riguardava soltanto lo sviluppo della produzione di vini senza solfiti aggiunti. Successivamente gli orizzonti di interesse sono stati ampliati includendo anche i metodi scientifici di allevamento, dalla campagna alla cantina. E’, insomma, una rete di imprese che opera coralmente con l’obiettivo di sviluppare progetti ed indirizzi comuni. L’idea è quella di realizzare una piattaforma Italia costituita da aziende che sono insieme per fare ricerca".
 
- La sua azienda ha investito nella produzione di vino senza solfiti aggiunti?

"Per sperimentare questa tipologia di vino e per verificare la resistenza con l’invecchiamento di un vino senza solfiti, abbiamo creato un “Salice Salentino doc”, il cui nome è “Marlisa”. Finora abbiamo prodotto solo un’annata e i risultati sono incoraggianti, valuteremo l’evoluzione del vino nei prossimi anni".

- Quali sono i vantaggi di un vino senza solfiti aggiunti?

"I solfiti sono presenti naturalmente nel vino e consentono la sua perfetta conservazione. Spesso è necessario aggiungerne piccole quantità, nella misura consentita dalla legge, per ottenere migliori risultati nel tempo. Ci sono persone, però, che sono allergiche ai solfiti; ed è particolarmente per loro che è importante questa sperimentazione".
Rosario Faggiano