LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO (pag. Le/5 del 7 luglio 2008)

GIUSTIZIA-LUMACA, UN ORDINARIO CASO ITALIANO. Fissato un risarcimento di quasi 17mila euro oltre agli interessi. La causa si sarebbe dovuta esaurire in trentasei mesi

Il processo di primo grado dura 16 anni e la Corte condanna il ministero delle Finanze

ASSUNZIONE NEGATA. Una donna era in graduatoria come bidella ma venne inspiegabilmente scavalcata e perse il posto
IL LEGALE. “Una somma non può ripagare ritardi così lunghi, soprattutto se il diritto negato è tale da incidere sulla vita”.
LECCE - Causa senza fine: la Corte d’Appello di Lecce condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a risarcire una cittadina per aver dovuto subire le lungaggini di un processo durato sedici anni. Il giudizio in questione (di primo grado), iniziato nel 1991 e concluso nel 2007, a suo tempo fu attivato per il riconoscimento del diritto ad ottenere un posto di lavoro (bidella) presso un Comune del nord Salento. Quest’ultimo, a seguito di assunzioni da graduatoria rimasta valida dopo l’espletamento di uno specifico concorso pubblico, decise di nominare una persona diversa dalla ricorrente la quale, in qualità di orfana di genitore deceduto per causa di lavoro, risultava inserita nelle liste speciali del collocamento riservate a categorie protette. Il Tar, alla fine del lunghissimo processo, ha dato ragione all’interessata. La sezione promiscua della Corte d’Appello di Lecce (presidente Rodolfo Boselli, relatore giudice Rosa Casaburi), ritenendo che il processo si sarebbe dovuto esaurire in un massimo di tre anni “in relazione all’oggetto della causa certamente di facile soluzione”, ai sensi della legge 189/2001 (legge Pinto) ha poi recentemente deciso di stabilire un risarcimento di circa 17mila euro, oltre agli interessi di legge dalla data della domanda fino all’effettivo soddisfo, a beneficio della ricorrente.
“Il problema dell’irragionevole durata dei processi – dice l’avvocato Francesco Milanese, legale della mancata dipendente comunale – in Italia è pressoché irrisolto, né sembra sufficiente al fine di risarcire il danno patito per il diniego di giustizia, l’indennizzo liquidato secondo la normativa vigente. Una somma di denaro non può ripagare il cittadino di ritardi così lunghi, soprattutto se il diritto alla base della domanda di giustizia è tale da incidere negativamente sulla sua vita, come nel caso specifico. Il provvedimento della Corte d’Appello di Lecce è esemplare perché sottolinea una profonda crisi della giustizia italiana, che preoccupa l’uomo comune e l’operatore del diritto. Non è un caso che dai recenti rapporti sull’efficienza della giustizia, promossa dalla Banca mondiale, l’Italia occupi il 155esimo posto su 178, e che tale fattore venga ritenuto concausa del freno allo sviluppo dell’economia. In un paese in cui un giudizio di primo grado può durare 16 anni – conclude – c’è bisogno di una riforma strutturale della giustizia”.
A livello nazionale, secondo dati recenti, dal 2002 al 2006 l’erario avrebbe sborsato la cifra record di 41,5 milioni di euro per indennizzare coloro che hanno subito cause interminabili.
Rosario Faggiano